Dopo la bocciatura della norma di revisione costituzionale, i ds insistono con un altro ddl
Italiani all’estero, nel Polo ancora bufera
Violante: la legge si può approvare presto

Gianni Giadresco

Liberazione 31 luglio 1998

Se non si trattasse di una vicenda estremamente seria e dignitosa - come lo sono le questioni attinenti ai diritti dei cittadini - lo stop imposto dal parlamento alle legge sul voto all'estero, dovrebbe essere paragonato al gioco dell'oca. Una volta finiti nella casella sbagliata, si viene ricacciati al punto di partenza. Per certi versi, nel caso della revisione costituzionale respinta dal voto della Camera dei deputati, è ancora peggio, in quanto la ricusazione rende molto discutibile (e costituzionalmente scorretto) riprendere il medesimo cammino.

Ma al di là del folklore e dei patetici risentimenti del sanguigno Tremaglia (il quale ha dovuto disdire i festeggiamenti che aveva predisposto per i prossimi giorni a Buenos Aires), il problema che non possiamo non porci è la comprensione per l'amarezza e la delusione di tanti nostri connazionali all'estero che, ancora una volta, sono stati delusi e traditi (non da noi, che abbiamo sempre affermato a viso aperto la contrarietà ad una soluzione legislativa irragionevole, ingiusta, incostituzionale) ma da coloro i quali, dal centro sinistra alla destra, avevano prospettato una soluzione della tormentata questione del voto all'estero a portata di mano.

Né sembra di molto aiuto, l'editoriale che Furio Colombo ha dedicato al problema sulle colonne de la Repubblica. L'indagine psicologica sulla pretesa prevenzione nei confronti degli italiani che vivono e lavorano all'estero, porta fuori strada. Non viene rifiutato il ponte della lingua e della cultura e nemmeno il prestigio e l'onore che è venuto all'Italia da connazionali diventati illustri e, neanche, da milioni di umili lavoratori del braccio.

Ciò che non è stato accettato è l'idea che chiunque si considera italiano (in base allo jus sanguinis e ad una abnorme dilatazione del diritto alla cittadinanza) possa essere considerato elettore italiano, indipendentemente dagli oneri, dai legami, dagli obblighi, anche elettorali, contratti con gli stati nei quali risiede. Né può essere condivisa l'idea che si possa decidere tale questione con un voto del parlamento italiano, senza avere concordato con i governi e i parlamenti degli altri paesi. Dopo, naturalmente, che si sia verificato lo status dei nostri connazionali, e compiuta la necessaria selezione degli eventuali aventi diritto. Ad esempio, per stabilire dopo quanti anni di assenza dall'Italia si perde il diritto ad essere elettore.

Inoltre è stata rifiutata l'idea che possano esservi collegi elettorali all'estero, riservati ai soli residenti all'estero, i quali otterrebbero, nel parlamento italiano, una rappresentanza a sé stante, estranea al corpo della nazione rappresentato dagli altri parlamentari. Se hanno diritto al voto e sono eleggibili, lo sbocco naturale è il collegio di origine nella madre patria (la qual cosa, non porrebbe problemi di rapporti tra gli stati).

Di fronte al "no" della Camera dei Deputati, è Giusto che Fini e Tremaglia lamentino la defezione di Forza Italia (ricordando che i parlamentari berlusconiani sono stati presenti senza eccezione alcuna quando si è trattato di votare a favore di Previti). Ma il problema è un altro. Era già accaduta la stessa cosa nel 1993, al Senato. Anche in quell'occasione, Tremaglia, dovette annullare i festeggiamenti del "Tremaglia day" frettolosamente e imprudentemente organizzati a New York.

Il vero problema - e il vero scandalo - consiste nel fatto che una battaglia di libertà e di democrazia viene portata alla sconfitta da almeno trent'anni, da parte di coloro che la propugnano. Sarebbe il caso che (come ha giustamente sostenuto Mario Brunetti nel suo intervento alla Camera) invece di lanciare accuse ad altri, si riflettesse sul fatto che il diritto di voto - per chi ne ha diritto - è già sancito nella Costituzione Repubblicana. Si tratta, quindi, di attuarlo nelle forme e nei modi prescritti dalla Costituzione; non di cambiare Costituzione.

 
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