La
legge Turco-Napolitano è un passo in avanti, ma serve poco se poi
anche l'Ulivo urla all'invasione Gianni Giadresco Liberazione 15 agosto 1998 C'era una volta la tristemente nota "delimitazione geografica", che era la formula ipocrita con cui i governanti del nostro paese eludevano la Convenzione internazionale di Ginevra sul diritto d'asilo, nel momento stesso in cui la sottoscrivevano. Il governo della nostra Repubblica si impegnava di fronte al mondo, per la salvaguardia di un principio sacrosanto di civiltà e di tutela della dignità umana, salvo precisare in un codicillo finale, che quel principio sarebbe stato valido solamente per i profughi dai paesi comunisti. Gli altri, rifugiati, perseguitati (potremmo aggiungere immigrati, essendo assai labile il confine tra gli uni e gli altri) bussassero ad altre porte, non a quella dell'Italia. Ci vollero più di dieci anni per imporre ai governanti del nostro paese un più decente comportamento che non fosse quello della suddivisione del diritto all'asilo per aree geografiche: concesso alle vittime delle dittature dell'est europeo e della lontana Cina; negato ai perseguitati delle dittature alleate dell'occidente. Si fece eccezione solamente per il Cile stante la commozione generale sollevata dalla mattanza del dittatore Pinochet. Fu decisivo l'impegno della Chiesa - della Caritas di monsignor Di Liegro - dei sindacati, e in particolare del Pci di Berlinguer e di Natta, perché si avesse uno schieramento democratico di massa capace di respingere i razzisti della destra e di bloccare il possibile qualunquismo indotto nell'opinione pubblica dalle campagne di disorientamento dei mass media. Non fu facile né indolore. Basta ricordare un nome troppo presto dimenticato - Herry Masslo - assassinato in una torrida notte di fine agosto, a Villa Literno, dove si era recato a raccogliere i pomodori, in cambio di poche lire che gli servivano per aiutare i fratelli minori lasciati in Sud Africa, a quel tempo dominato dai bianchi. Fu molto dura, come ben sanno anche Giorgio Napolitano e Livia Turco che in quegli anni non erano ministri dell'interno e degli Affari sociali. Ma, alla fine, il risultato non è mancato: la delimitazione geografica è caduta e le prime leggi sull'immigrazione hanno visto la luce (la 913, con le sue proroghe, e la legge Martelli, che seppure sabotate da chi avrebbe dovuto attuarle, ebbero il grande merito di consentire l'uscita dalla clandestinità forzata degli immigrati, i quali, prima di quelle leggi, erano soggetti al Tu di pubblica sicurezza del 1931 che contemplava solamente la loro espulsione del territorio nazionale). Oggi esiste una legge che è certamente migliore delle precedenti, il cui merito si deve in particolare a Livia Turco e a Napolitano; ma si deve riconoscere che non serve molto se accadono le cose cui ci è dato di assistere nei giorni caldi delle vacanze ferragostane. Torniamo a "sparare nel mucchio"; stabiliamo che esiste una categoria definita di "clandestini", illegali da respingere dal nostro paese, senza che abbiano potuto godere nemmeno dell'assistenza legale dell'associazione dei diritti dell'uomo. In attesa dell'espulsione, questi esseri umani - che non hanno commesso alcun reato, se non quello di essere... naufragati sulle spiagge di un club Mediterrané - sono trattati peggio dei pericolosi delinquenti, almeno per quanto attiene quel filo spinato e le inferriate alle finestre dei cosiddetti "centri di accoglienza" mostrati dalla Tv, che ci fanno diventare gialli di rabbia e rossi di vergogna. Si capisce anche che si sia tentato di uscire dall'impasse pagando il pedaggio per impedire le partenze dai paesi di origine, ma questo non risolverà il problema dell'esodo dall'altra sponda di un mare che è per metà europeo e per metà loro. E le ragioni sono note agli studiosi, agli storici e ai politici; come è noto che gli allarmismi e le demonizzazioni della destra servono ancora meno. Ciò che sconcerta, sorprende o anche indigna, è che la sinistra, con tutte le sue "Cose", sia latitante. Ben si comprende che è difficile governare il problema immigrazione, ma non si può cadere nel luogo comune di ritenere che chi governa è destinato a scontentare la gente. C'era una volta un grande sindaco comunista, Giuseppe Bozza, in una città esemplare, Bologna, che governava bene e perciò guadagnava più voti di quanti ne avesse il suo partito alle elezioni politiche. Il problema, quindi, è della politica che si fa: se ci si ricorda che nel Dna della sinistra, c'è una cultura comunista, che non ha mai considerato le ondate migratorie come "invasioni barbariche", né come un ostacolo alla soluzione dei problemi sociali dell'Italia e degli italiani, che sa che l'alternativa "o i nostri disoccupati o gli immigrati" è un'ipocrisia per sfruttare i "clandestini" e per continuare a lasciare senza lavoro gli italiani. Basta leggere sui muri delle nostre città i programmi delle numerose feste dell'Unità che in questo periodo si svolgono in alcune regioni italiane, per rendersi conto del desolante decadimento di una sinistra che si dice di governo. Come si può pretendere di governare il fenomeno immigrazione se si rinuncia, nel pieno della battaglia, al necessario dibattito di massa nelle feste dell'Unità, ridotte a sagre della gastronomia e del ballo liscio? Leggo sul "Corriere della Sera" (mercoledì 12 agosto) la dichiarazione di Napolitano: «pronti ad espellere 500 clandestini». Sento dagli schermi della Tv il martellante allarme nei confronti di alcune centinaia di poveracci che se non identificati e schedati - come vuole il barbaro trattato di Schengen - saranno muniti di foglio di via, e potrebbero sottrarsi al controllo della polizia. Se anche fosse? Cosa avremmo da temere e quale danno ne avrebbe l'Italia? La loro sola colpa è quella di essere poveri e di essere nati sulla sponda sud del mediterraneo, che rappresenta la nuova "delimitazione geografica" del dopo-Schengen. |
chiudi |