Centenario della nascita di Carlo Levi

“Capelli grigi folti e lunghi sul collo, pantaloni troppo corti, calze di colore vivace, vistose cravatte, gli occhiali sospesi ad una catenina che gli ballavano eternamente sul petto”. Carlo Levi si sarebbe certamente riconosciuto in questo “ritratto” fattogli dal Corriere della Sera, quando, nel 1963, diventò senatore. Eclettico personaggio, dalla foggia alquanto stravagante, pittore e scrittore di grande livello e fama; uomo politico impegnato; meridionalista convinto; antifascista fino al midollo; partigiano della pace, membro del Consiglio Mondiale; tipico rappresentante di una generazione di combattenti per la libertà che non avevano piegato la testa dinanzi alla dittatura fascista, ed avevano pagato di persona la loro coerenza ideale e il loro impegno civile; il senatore Carlo Levi era stato eletto, come indipendente, nelle liste del Pci.
Carlo Levi - del quale sono in corso le celebrazioni del centenario della nascita, avvenuta a Torino il 29 novembre 1902 -, ebreo, nato in una famiglia della buona borghesia piemontese, nipote di Claudio Treves (uno dei grandi riformisti del socialismo italiano morto in esilio a seguito delle persecuzioni fasciste, fondatore con Carlo e Nello Rosselli di “Giustizia e Libertà”, sarà nel Cln clandestino di Firenze a rappresentare il Partito d’Azione. Non era comunista, ma aveva scelto di stare dalla parte dei comunisti, lottando al loro fianco, in anni difficili ma pure importanti, dal 1950 fino alla sua scomparsa avvenuta nel 1975. Carlo Levi ha segnato un’epoca, come uno dei più eminenti esponenti della cultura italiana del Novecento. Il suo ingresso al Senato della Repubblica rappresentò il naturale coronamento di un impegno civile, democratico, antifascista, che aveva caratterizzato almeno mezzo secolo dei suoi 73 anni di vita. E alla sua morte si scriverà che ha lasciato un vuoto “incolmabile”.
Sarebbe quanto mai opportuno che il Senato della Repubblica decidesse, prima che si concludano le celebrazioni del Centenario, la pubblicazione dei suoi discorsi parlamentari, ulteriore testimonianza della vita di un grande italiano spesa per l’affermazione e la difesa delle libertà democratiche e della giustizia sociale nel nostro Paese.
Il comunista Giorgio Amendola, suo amico e collaboratore nel grande movimento per la Rinascita del Mezzogiorno, dirà che Carlo Levi è stato un grande scrittore e un grande pittore, perché, essenzialmente, è stato sempre, in ogni sua manifestazione, un combattente per la giustizia e la libertà: “Eravamo partiti quarant’anni fa dalle stesse posizioni, da Gobetti. E ritrovarlo assieme ad una manifestazione antifascista, sotto le stesse bandiere, mi dava la conferma che per vie diverse eravamo arrivati ad un approdo comune”.
E’ difficile non concordare con questo giudizio soprattutto perché quel Pci, che lo aveva eletto in un collegio senatoriale della Sicilia, si poneva, particolarmente in quegli anni, come già era avvenuto per la battaglia antifascista e nella lotta di liberazione nazionale, come il perno fondamentale della democrazia, sapendo raccogliere attorno a sé una parte importante del nostro popolo, per conquistare la democrazia, battere gli anatemi e le scomuniche della guerra fredda, difendere la Costituzione nata dalla Resistenza. Non è inutile ricordare che sarà Carlo Levi a fondare il movimento della “Nuova Resistenza”, nel 1960, per contrapporre una nuova generazione antifascista al tentativo tambroniano di sovvertire le basi costituzionali della Repubblica.
E’ ben vero che c’è anche chi contraddice questa lettura del pensiero di Levi. Però è innegabile che il politico e l’intellettuale Carlo Levi, per oltre un quarto di secolo, ha assunto posizioni favorevoli al Pci. La qual cosa, seppure naturale per noi, può sembrare ad alcuni contraddittoria. Tuttavia rimane il fatti che, dopo gli anni 50, per essere “liberal-socialisti”, si poteva – più giusto dire: si doveva – mettersi al fianco del Pci, come appunto fece Carlo Levi, negli ultimi 25 anni della sua vita.
Del resto tutta la sua esistenza è stata dedicata alla battaglia per la libertà. Il fascismo lo fa arrestare nel 1934, poi nuovamente nel 1935 e lo costringe al confino in Lucania, a Grassano, nella provincia di Matera, poi ad Aliano, dove riposano le sue spoglie, per sua volontà e per richiesta di quelle popolazioni che lo conobbero appassionato meridionalista, drammaticamente impegnato al fianco dei contadini, per i quali ha esercitato – unica occasione della sua vita – la professione del medico, cui era abilitato da una laurea in medicina conseguita a 22 anni all’Università di Torino. La sua totale attenzione, di artista, di letterato, di uomo politico, è stata attratta dai fatti sociali. Non era marxista, ma nessuno potrebbe mai collocarlo in contrapposizione con la forza liberatrice espressa dai comunisti. Tanto è vero che con essa si identifica il combattente antifascista e il grande intellettuale, il meridionalista che condivide la proposta gramsciana dell’unità fra contadini del Sud e operai del Nord, per la difesa della democrazia e la soluzione della questione meridionale.
Ed in questa ottica Levi colloca il dramma dell’emigrazione del Sud e del sottosviluppo del mondo, che hanno rappresentato una delle ultime battaglie della sua vita. All’inizio degli anni ’70 si era fatto promotore, assieme ai comunisti Giuliano Pajetta, Cinanni, Cianca, Volpe, della “FILEF”, la più grande organizzazione di massa degli emigrati e delle loro famiglie.
Né uno come lui avrebbe potuto chiudersi in una visione provinciale o ritirarsi di fronte all’esigenza esistenziale di dare all’umanità la speranza della pace. Gli errori burocratici e le distorsioni del “modello sovietico”, di cui era ben avvertito, non lo fermarono quando si trattò di assumere un impegno e una posizione netta, all’insegna della colomba di Picasso, nel possente movimento dei partigiani della pace, per salvare il mondo dalla minaccia della catastrofe atomica. Più tardi la coesistenza aprirà altri orizzonti. Ma negli anni 50, quando negli Usa il maccartismo portava a morte i Rosenberg, in casa nostra l’oscurantismo scelbiano insultava il cosiddetto “culturame”, e la peggiore Dc additava gli intellettuali di sinistra quali “servi di Mosca”, la passione e le scelte coraggiose di grandi italiani come Carlo Levi hanno arricchito il patrimonio morale e civile della Nazione.
Longo e Berlinguer nel messaggio di cordoglio del Pci, così lo hanno ricordato: “Scompare con Carlo Levi un amico carissimo, un compagno fedele e appassionato di lotta del movimento dei lavoratori, una figura tra le più nobili dell’antifascismo e dell’intellettualità progressista, un insigne scrittore e pittore, un protagonista convinto di tutte le battaglie per la pace, per la libertà e l’indipendenza dei popoli. Il nome e l’esempio di Carlo Levi resteranno per sempre legati alla storia dell’arte e della cultura contemporanea e del movimento operaio democratico e meridionalista.

(Gianni Giadresco, la Rinascita della sinistra, 14 marzo 2003)

 
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