BERLINGUER
E GLI EMIGRATI
A
venti anni dalla morte di Enrico Berlinguer, Gianni Giadresco, che all’epoca
era responsabile della Sezione Emigrazione del PCI, ricorda il grande
dirigente comunista, il suo impegno concreto a favore degli emigrati,
con un lungo articolo su “la Rinascita della sinistra” dell’11
giugno 2004, dal quale abbiamo estrapolato, solo per motivi di spazio,
la parte riguardante la politica verso i nostri connazionali all’estero.
“… Ai nostri connazionali emigrati, Berlinguer ha dedicato
un impegno di tipo particolare, che non è mai scaduto nelle semplificazioni
demagogiche di quanti li dipingevano come “ambasciatori dell’Italia
nel mondo” o “primi cittadini d’Europa”, pur facendo
ben poco per tutelarne i diritti sociali e civili presso le autorità
dei Paesi di emigrazione, come sarebbe stato loro dovere. Penso che avvertisse
come un fatto fisico, il dramma vissuto dalla sua Sardegna, che aveva
pagato all’esodo dei lavoratori italiani verso l’estero un
prezzo particolarmente elevato.
Fra Berlinguer e gli emigrati, si era stabilito un feeling, come disse
un giorno Natta, e penso che ciò fosse la conseguenza della serietà
del suo impegno e dell’indignazione vera e propria che provava per
l’ingiustizia che quei lavoratori avevano patito.
Li definiscono ambasciatori, diceva, invece sono stati sfruttati due volte:
esclusi in Patria, abbandonati all’estero. Eppure non volle concedere
mai alcunché alla rivendicazione del cosiddetto “voto all’estero”,
che non dava la garanzia della libertà e dell’uguaglianza,
fissate dalla nostra Costituzione.
Nelle condizioni dell’emigrazione, diceva, non c’è
libertà di scelta e nemmeno parità di diritti. Su questo
punto era inflessibile. Anche per i marittimi, per i quali c’era
chi proponeva l’esercizio del voto durante la navigazione con un
sistema elettronico. A chi gli faceva notare che, in fondo, si trattava
di pochi voti che non avrebbero modificato l’esito elettorale, rispondeva:
“la nave è proprietà privata dell’armatore,
l’elettore non ha le condizioni della libertà”.
Condivise invece, e sostenne – facendone oggetto di sfida a tutte
le altre forze politiche – la proposta di eleggere un emigrato al
Parlamento europeo, candidandolo nelle circoscrizioni nazionali. In questo
modo, tra l’altro, si ristabiliva in qualche modo anche un rapporto
con la realtà nazionale che il trauma dell’esodo aveva spezzato.
Questa è stata l’ultima battaglia, nel 1984, nella campagna
elettorale conclusa drammaticamente nella notte di Padova.
Non molte settimane prima della tragedia, mi parealla fine di marzo, avevamo
stabilito un programma di impegni comuni all’estero per partecipare
al Congresso del Movimento Federalista Europeo al quale il Pci aderiva
e Berlinguer era stato invitato a pronunciare un discorso in cui collegava
l’Europa al suo “eurocomunismo”, che fu idea tanto condivisa
quanto difficile da realizzarsi, e tenere, nello stesso tempo, il I Convegno
europeo del Pci nell’emigrazione, che si sarebbe svolto nella grande
sala della municipalità di Liegi. Alla vigilia di quell’appuntamento,
Berlinguer avrebbe chiesto alla direzione del partito una “deroga”
alle norme statutarie allo scopo di consentire di candidare – con
l’impegno di eleggere nella rappresentanza del Pci a Strasburgo
– un emigrato, senza attendere i tempi più lunghi della ratifica
degli organismi dirigenti di partiti nelle varie circoscrizioni elettorali.
Oggi, questo non sarebbe neppure pensabile, ma in quegli anni il Pci rappresentava
ben altra realtà rispetto alle attuali forze politiche, e se assumeva
l’impegno lo avrebbe onorato. Come in effetti accadrà.
Sono trascorsi vent’anni, ma mi pare di rivederlo spuntare in fondo
al lungo corridoio dell’aeroporto di Bruxelles dove ero andato ad
aspettarlo all’arrivo del volo da Roma. Indossava il suo solito
loden fumo di Londra; sottobraccio, come sempre, teneva i giornali molti
dei quali strappati come faceva d’abitudine durante la lettura,
era affaticato, ma aveva un atteggiamento raggiante, ad onta di chi, non
conoscendolo, confondeva la sua serietà con la tristezza. Con evidente
soddisfazione mi disse: “ieri la direzione del Partito ha accolto
la tua proposta; possiamo annunciare che eleggeremo un emigrato nelle
nostre liste in Italia”. Alle sue spalle un sorridente Tonino Tatò,
scuoteva la testa come era solito fare quando voleva dire che una cosa
era giusta.
Due giorni dopo, dall’assemblea di Liegi sarebbe uscita l’indicazione
della candidatura di Francesca Marinaro, originaria di Enna, emigrata
con i genitori a Bruxelles. Una ragione di più di grande soddisfazione
per Enrico che, come nessun altro, aveva il “feeling” con
gli emigrati e aveva fatto dei diritti delle donne uno dei cardini del
suo impegno di lotta.
Gianni
Giadresco
23/2004
EMIGRAZIONE NOTIZIE
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