1944 Pasqua di sangue sull’Appennino

di Gianni Giadresco (La Rinascita)

La primavera del 1944 sull’ Appennino tosco-romagnolo incomincerà proprio male. Sul finire di marzo, quando si stava per uscire dall’inverno, una bufera di neve violenta come non si era mai vista investì tutta la montagna, coprendo ogni cosa e rendendo impraticabili i passi più alti. Il migliaio di “sbandati” che aveva scelto di rifugiarsi su quelle montagne, ove aveva dato vita a quella che sarebbe diventata l’8 Brigata Garibaldi “Romagna”, dovette far fronte a non poche, impreviste, difficoltà. Quei volontari datisi alla macchia poco dopo la proclamazione dell’armistizio avevano contato su una rapida avanzata degli alleati più che sui loro scarsi armamenti. Si erano insediati in uno dei punti strategici più importanti per le comunicazioni del nemico da e per il fronte, quali le strade che attraversavano l‘Appennino tosco-romagnolo: proprio in mezzo alla Linea Gotica. In quei luoghi avevano pagato il noviziato partigiano, facendo credere ai nemico di essere più forti e numerosi di quanto in realtà non fossero. Non immaginavano che i tedeschi e i fascisti si preparavano a dare loro un colpo che, nelle condizioni in cui erano, sarebbe stato disastroso. L’improvvisa tempesta di neve su tutto l’arco appenninico centrale aveva costretto anche il nemico a rimandare la realizzazione dei suoi propositi. Ma sarà questione di pochi giorni; poi, alla vigilia delle festività pasquali. l’ancor fragile organizzazione partigiana sarà investita da una bufera di ferro e di fuoco di tale potenza che sarà impossibile farvi fronte. Per di più la Brigata affrontava una fase di riorganizzazione. Si aggiunga che la lentezza con cui gli alleati - inchiodati sulle lontane posizioni del Volturno e del Garigliano, bloccati a Montecassino, assediati nella testa di sbarco di Anzio e Nettuno - risalivano la penisola, allontanava la prospettiva della liberazione. Diventava sempre più evidente che gli alleati combattevano una guerra che non teneva in conto le sofferenze delle popolazioni e la “fretta” dei partigiani. Per questi ultimi, sull’Appennino tosco-romagnolo, dove l’organizzazione stava a metà strada tra gli “sbandati” e i partigiani veri, voleva dire prepararsi a trascorrere ancora molti mesi sotto l’occupazione tedesca. Tuttavia, chi prevedeva che la liberazione non sarebbe avvenuta prima dell’estate sembrava troppo pessimista. Invece, quando si arriverà all’estate, si dovrà rimandare ancora. Era stato quasi un miracolo avviare quei partigiani dalla pianura verso la montagna, raggiungendo le località dell’Appennino forlivese: Cusercoli, la zona del Samoggia, Tredozio, Pieve di Rivoschio, Santa Sofia. Bagno di Romagna, Premilcuore, Galeata, e altre ancora. In poche settimane, dopo l’annuncio dell’armistizio, i partigiani in montagna erano diventati un migliaio. La rete organizzativa clandestina dell’antifascismo dimostro una insospettata capacità. Ma se si poteva contare su una forza consistente e numerosa di volontari, non altrettanto si poteva dire della loro capacità di combattimento. Le nozioni militari, per molti erano zero, essendo giovani di leva che non erano mai stati soldati; degli altri, pochi erano stati in zona di guerra. Comunque nessuno sapeva come si faceva la guerriglia, una guerra irregolare, ma che ha regole proprie di cui nessuno aveva un’idea. Molti ne avevano sentito parlare, da Radio Londra o Radio Mosca, ma nessuno l’aveva mai fatta. Qualcuno l’aveva conosciuta in Jugoslavia, però stando nell’Esercito italiano, che insieme a quello tedesco era l’esercito occupante, cioè dalla parte opposta a quella dei partigiani. Solamente qualche “vecchio” comunista che era stato in Spagna, garibaldino dalla parte della Repubblica, ne aveva un’idea. Per giunta, di quel migliaio di volontari “candidati a diventare partigiani” quasi la metà era senza armi per combattere. La situazione era molto seria anche in vista di una prevedibile reazione del nemico, la quale - in mancanza dell’avanzata alleata - si sarebbe fatta più consistente, pressante e pericolosa. di quanto non fosse avvenuto fino a quel momento. Il CLN adottò una decisione drastica: la crisi organizzativa doveva essere superata a cominciare dall’alto , cioè dala sostituzione del Comandante. In quel momento la sede del Comando era a Strabatenza, nei presmgno di Romagna. Lì si insediera’ Tabarri, nome di bat‘Pietro Mauri”, con l’incarico di rilevare la responsabilità della 8 Brigata Garibaldi. Era il 27 1944. Sara’ in coincidenza col passaggio dei poteri, quando più fervevano le discussioni ed emergevano i contrasti che si scatenerà l’inferno sull’Appennino. Dal 2 al 13 aprile, nei giorni delle festività pasquali 10mila tedeschi e 5mila fascisti della Gnr diedero l’assalto alla “montagna”. Gli occupanti germanici, aiutati dai fascisti di Salò, si scaglieranno con tutta la loro potenza di fuoco, e la determinazione che li caratterizzava nella caccia ai “banditi”, sicuri di estirpare il “tumore” partigiano dalle zone dell’Appennino, dove l’organizzazione del lavoro germanica, denominata “Todt”, stava costruendo le fortificazioni note come la Linea Gotica. Saranno impegnate due divisioni tedesche, una delle quali, fatta convergere dal versante della Toscana, era la tristemente famosa corazzata “Goering”, la spietatezza e le malefatte di cui si era macchiata in altre parti del Paese. L’impreparazione, 1’inadeguatezza degli armamenti, la sorpresa dell’attacco,forse qualcosa di peggio, anche il tradimento. oltre alle infiltrazioni che vi erano state nelle file degli sbandati, risulteranno fatali. Si arriverà a uno “sbandamento pauroso”. Se non fosse stato per il sacrificio di alcuni, ad esempio il gruppo dei partigiani di Biserno, guidato da Terzo Lori e Amos Colderoni, che sacrificheranno la propria Vita, sarebbe stata una carneficina. Comunque le perdite furono tante, che labrigata sarà dispersa,anche se di lì a qualche settimana sarà ricostituita.

Non era trascorso nemmeno un mese che 600 partigiani agli ordini di Mauri “ripopoleranno” l’Appennino. I fascisti cercheranno di toglierli di mezzo ma questa volta non ci riusciranno. Dal l6 al 23 luglio i nazifascisti attaccheranno fra le strade di Cesena-Santa Sofia-S.Piero in Bagno-Forlì; il terzo rastrellamento sarà portato a termine, nell’agosto, allo scopo di eliminare ogni presenza partigiana all’interno della Linea Gotica. La zona interessata era compresa tra Meldola-S Sofia-Sarsina-S.Piero in Bagno. Ma il risultato sarà l’opposto di quello desiderato dai rastrellatori, i quali finiranno per essere a loro volta “rastrellati”. Infatti, nei dieci giorni del rastrellamento, i partigiani attaccarono con una serie di imboscate che vanificarono i tentativi tedeschi di sfondamento. Ed allo stesso tempo, altri distaccamenti partigiani, alle spalle del nemico, lo attaccheranno nei punti più importanti della Linea Gotica: al Passo dei Mandrioi. a Verghereto, sulla strada del Casentino, della Lama, in Campigna, a S. Paolo in Alpe. Ragione per cui - a differenza dei detrattori della Resistenza - gli alleati (ma anche i tedeschi!) riconosceranno l’importanza del contributo dato dalla nostra guerra di liberazione, alla vittoria fnale nella campagna d’Italia.

 
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