Liberazione - 14 novembre 2004 Come nacque il partigiano Bulow Storie di "Guerra
in Romagna" nel biennio '43-'45, un libro di Gianni Giadresco che
ripercorre tra l'altro la vicenda di Arrigo Boldrini, leggendario capo
delle Brigate garibaldine «L'ardimentoso Menichetto Ferro continuerà la sua lotta fino a quando non cadrà ucciso da una compagnia di soldati tedeschi nella quale ebbe la sventura di imbattersi il 17 maggio 1944, in località detta Corniale, nei pressi di Fiorenzuola». Così lo fa rivivere Giadresco, Menichetto Ferro, di anni 21, tenente "badogliano" passato alla Resistenza, l'eroe sconosciuto ai più che con un colpo di mano, pistola in pugno, riesce a farsi consegnare dall'alto ufficiale tedesco le carte segrete del piano militare-strategico approntato dai nazisti per bloccare sull'Appennino tosco-romagnolo, grosso modo da Pisa a Rimini, l'offensiva alleata. L'eroe-ragazzino, laurea ad honoris dell'Università di Genova, medaglia d'argento alla memoria. E Primo Stefanelli, detto "Primo delle Cerrete", lui che è un contadino di Galeata e combatte coi partigiani in quei drammatici giorni, quando - scrive Giadresco - «10 mila tedeschi e 5 mila fascisti della Gnr diedero l'assalto alla "montagna", dal 3 al 15 aprile, i giorni delle festività di Pasqua». Primo delle Cerrete, insieme ad altri 19 compagni, viene preso dai nazisti e condannato alla fucilazione, gli fanno scavare la fossa, poi è risparmiato e spedito in un lager in Polonia. "Alles Kaputt", è il capitolo che rievoca le tre stragi nazi, compiute in tre minuscole frazioni al confine tra Romagna, Marche e Toscana: Fragheto, all'alba del 27 aprile 1944, Venerdì Santo; Tavolicci, il 22 luglio; Madonna dell'Albero, il 27 novembre. Una Marzabotto romagnola in tre tempi. «Tutti uccisi: donne, vecchi, bambini, sacerdoti, con modalità ripugnanti, spesso senza che si potesse invocare nemmeno l'abominevole giustificazione della rappresaglia». No, era solo «spietata crudeltà, desiderio di vendetta per il tradimento dell'armistizio firmato dall'Italia l'8 settembre». Fragheto, ad esempio. «Al tramonto di quel tremendo Venerdì Santo, i pochi scampati recuperavano i loro morti dalle case ancora fumanti: 32 nel paesino, 17 dei quali si chiamavano tutti Gabrielli; 8 giovani renitenti alla leva trucidati al ponte di Casteldieci; 12 bambini, 18 donne, 11 vecchi. Erano la metà della popolazione». E Madonna dell'Albero. «Un piccolo villaggio,
poche case, qualche strada: più campagna che città. Diventerà
l'inferno, dove nessuna pietà sarà riservata ai suoi abitanti,
quasi duecento, 56 dei quali saranno uccisi proditoriamente nelle loro
povere case, nelle loro strade polverose, il 27 novembre 1944», Una grande storia fatta in gran parte di donne e uomini così, capaci di credere e lottare, anche a prezzo della vita, per gli ideali in cui credono. Ed è forse questo il merito più significativo di questo libro che, di loro - di queste donne e di questi uomini - in massima parte tratta. "Bulow? Che sia un tedesco? ", questo il titolo del capitolo, curioso e divertente, nel quale Giadresco narra la genesi di "Bulow", nome di battaglia di Arrigo Boldrini, il leggendario capo delle Brigate garibaldine dell'Emilia Romagna. «Un giorno l'autore di queste pagine volle chiedere a Bulow per quale recondita ragione avesse scelto di chiamarsi come un tedesco. "Non fui io a darmi quel nome - rispose - così volle la sorte. Io avevo una falsa carta d'identità intestata a Lacchini Guido. Il documento era falso, ma Guido Lacchini esisteva davvero. Era un mio carissimo amico, che sapevo al sicuro lontano, nell'Italia liberata. Con quel documento falso in tasca andavo alle riunioni clandestine. In una di esse esposi le mie idee sulla guerriglia, convinto che non si dovesse abbandonare la pianura all'occupante, in sostanza l'idea della cosidetta "pianurizzazione" della guerra partigiana. Quando passai ad esporre la tattica che avremmo dovuto seguire, realizzando un grande collegamento con i contadini delle campagne, e il piano che avremmo dovuto realizzare per liberare Ravenna, uno dei presenti se ne uscì con la sorprendente osservazione: "Mo' chi sit, Bulow? " (Ma chi sei, Bulow?), alludendo al generale tedesco che contribuì a sconfiggere Napoleone. A parlare era stato Michele Pascoli, un barbiere comunista. Fu, dunque, lui, Pascoli, a decidere e fu dopo quella riunione che diventai Bulow"». Quanto a lui, Michele Pascoli, barbiere comunista, «diventerà un martire antifascista, uomo straordinariamente ricco di cultura e di umanità, conoscitore come pochi della storia della Comune di Parigi e della Rivoluzione francese». Storie della Romagna partigiana. Storie raccontate da Gianni Giadresco. In presa diretta. Claudio Grassi |